
Non è facile effettuare un’analisi esaustiva del Ni Una Menos in Argentina, il movimento femminista in questo paese è infatti molto complesso in quanto composto da numerosissimi gruppi eterogenei fra di loro ed è fortemente influenzato dalle dinamiche politiche e partitiche del paese. Ho riscontrato non poche difficoltà nel cercare di capirne le caratteristiche, i meccanismi decisionali interni e le relazioni fra i vari gruppi che lo animano soprattutto prendendo come termine di confronto il movimento femminista italiano Non Una di Meno da cui provengo. Inizialmente, infatti, mi aspettavo di trovare una realtà organizzata simile con gruppi territoriali e regolari assemblee nazionali, scoprendo invece che si trattava di un movimento fluido e in divenire ma allo stesso tempo molto radicato nella società argentina. Cercherò qua di condividere alcune riflessioni generate da circa tre mesi di interazioni con compagne di gruppi femministi, delle università e con altre femministe non militanti che ho incontrato durante il mio viaggio di esplorazione dei femminismi in Argentina fra marzo e luglio 2019. Spazierò un pò oltre la tematica della sicurezza, centrale in questo blog, per analizzare anche gli aspetti più generali del movimento come la sua genesi, il suo impatto, le sue caratteristiche in termini di composizione e di struttura organizzativa, in particolare il ruolo dei partiti e le dinamiche interne di inclusione ed esclusione. Un tema trasversale che guida questo articolo sarà comunque quello delle (in)sicurezze. Discuterò come le insicurezze generate dal governo di Mauricio Macri[1] – attraverso le politiche repressive del dissenso e neoliberali che hanno colpito soprattutto i gruppi più marginalizzati e discriminati – abbiano facilitato i processi sociali che hanno portato alla nascita del movimento Ni Una Menos. Tratterò anche delle sicurezze generate dal movimento in termini di un’acquisita coscienza sociale e di alternative elaborate e attuate per rispondere alle vulnerabilità di tipo economico e alla violenza di genere; proverò anche a riflettere sulla portata e potenziale di trasformazione sulla società e sul movimento stesso verso una maggiore inclusione sociale come effetto della forte eterogeineità e diversità del movimento.
Date le premesse precedentemente
esposte, questa analisi non può che essere parziale in quanto affronta
in maniera sparsa solo alcuni degli aspetti relativi al movimento ed è
da considerarsi una soggettiva interpretazione del fenomeno Ni Una Menos in
Argentina; gradirei pertanto un confronto e scambio di opinioni con altre persone che hanno
studiato o conoscono questo contesto.
1. Ni Una Menos – una esplosione (in)aspettata e ricadute sulla società
Il Ni Una Menos è stato accolto dalla stampa nazionale ed internazionale come un fenomeno inaspettato, come un’esplosione improvvisa della coscienza femminista generata dalla rabbia verso l’ennesimo violento femminicidio sul corpo di una giovane donna, Chiara Páez di 14 anni, che era incinta, uccisa e sotterrata dal suo ragazzo. Si parlò molto anche della potenza dei social media nel mobilitare le masse nella grande manifestazione del 3 giugno 2015 in centinaia città argentine e che vide una concentrazione di circa 300.000 persone solo in Buenos Aires. Appena un mese prima un gruppo di giornaliste note come Marta Dillon e Florencia Alcaraz avevano costituito il collettivo Ni Una Menos; questo, alla notizia del femminicidio di Chiara Páez, lanciò via Twitter l’idea di organizzare una manifestazione nazionale contro i femminicidi con lo slogan “Ni Una Menos” (Non Una di Meno); questa proposta divenne velocemente contagiosa e catalizzò un consenso diffuso su tutta la rete[2]. A partire dalle alleanze nate nelle assemblee di preparazione del corteo del 3 giugno, le varie realtà che vi avevano preso parte continuarono a coordinarsi lanciando potenti chiamate verso tutti i movimenti femministi del mondo per organizzare manifestazioni transnazionali come quelle del 25 novembre 2016, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, e il primo sciopero globale delle donne dell’8 marzo 2017; il Ni Una Menos in Argentina contribuì a dare nuovo slancio ai femminismi in varie parti del mondo stimolando la costituzione di movimenti affini in tutta America Latina e in Europa, incluso il caso italiano di Non Una di Meno.
Prima di cominciare con questa trattazione vorrei fare una piccola precisazione. Il fatto che il collettivo Ni Una Menos abbia avuto inizialmente un ruolo importante nell’attivare la partecipazione alle prime grandi mobilitazioni femministe ha creato a mio parere una certa confusione (personale ma anche riscontrata parlando con alcune compagne italiane) anche a causa della sovrapposizione di nomi fra il collettivo Ni Una Menos e il movimento Ni Una Menos. Anche se si chiamano nello stesso modo, il collettivo e il movimento sono due entità diverse. Il Collettivo Ni Una Menos è un gruppo di attiviste femministe esperte della comunicazione; queste hanno saputo utilizzare abilmente i canali di comunicazione di massa per socializzare alcune riflessioni e rivendicazioni che poi stimolarono manifestazioni di presa di parola pubblica, sono sempre state loro a prendere l’iniziativa di convocare per la prima volta le numerose e diverse realtà femministe di Buenos Aires al fine di preparare unitamente la manifestazione contro i femminicidi, il primo sciopero femminista dell’ottobre 2016 e a promuovere la costituzione delle assemblee Ni Una Menos nelle varie città; il movimento Ni Una Menos invece è molto eterogeneo ed è composto da collettivi, associazioni, sindacati, partiti e singole partecipanti che organizzano congiuntamente, coordinandosi attraverso assemblee cittadine, iniziative e mobilitazioni a livello nazionale e locale e in particolare il 3 giugno (manifestazione contro i femminicidi), il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne) e l’8 marzo (sciopero globale femminista). Esiste una tendenza generale a prendere il collettivo Ni Una Menos come referente dell’intero movimento; il collettivo certamente funge da lente di ingrandimento di alcune istanze importanti ma non può essere rappresentativo di tutte le lotte del movimento, che sono varie e plurali e sfuggono a qualsiasi rappresentazione univoca.
1.1. Impatto sulla società
Dopo il 3 giugno 2015 niente fu uguale a prima in Argentina. Questa data rappresentò uno spartiacque per il movimento femminista: si generò e si sviluppò una riflessione profonda sulla violenza di genere all’interno della società e nell’agenda politica, questa non poteva essere più ignorata o tollerata, considerata come un fenomeno naturalizzato o come un problema privato, la violenza sulle donne aveva smesso di essere un tabù. Assemblee femministe si formarono in numerose città e il femminismo cominciò ad incardinarsi in qualsiasi realtà politica e sociale, vennero istituite sezioni femministe nei partiti, nei sindacati, nelle università, nelle organizzazioni di base e di quartiere, si costituirono reti di docenti, di avvocate e professionali di vario tipo, mettendo in discussione i rapporti di potere scaturiti dalle disuguaglianze di genere nelle realtà lavorative e sociali. Nei quartieri (barrios) le organizzazioni territoriali di partito e le tante altre organizzazioni di base hanno iniziato ad affrontare tematiche femministe e a parlare di violenza di genere. Le donne dei quartieri popolari hanno cominciato ad aprirsi e condividere le proprie esperienze per rendersi conto che le violenze e le discriminazioni che subivano non erano questioni personali ma problemi comuni a molte altre donne a loro vicine. Proliferarono collettivi femministi di ogni tipo: delle marroni[3], non binar*, afrodiscendenti, migranti, delle grasse, delle sorde, di accompagnamento all’aborto[4], delle attrici, delle artiste di vario tipo, professioniste dei più svariati settori lavorativi ecc. aggiungendosi a quelli storici di sinistra e delle trans/travesti oltre alle associazioni di donne indigene e al sindacato delle sex workers. Cominciarono a crearsi micromondi femministi, reti di supporto vicendevole attraverso la diffusione di reti professionali e artistiche e attività commerciali femministe[5]. Il femminismo ha agito un grande richiamo sulle adolescenti che si sono identificate molto col movimento, hanno cominiciato a parlare di violenza di genere nella scuola secondaria, hanno messo in discussione il ruolo e comportamento che veniva loro richiesto e hanno avuto la possilità di esplorare il proprio corpo e sessualità in modo diverso; queste hanno acquisito una sorprendente capacità di analisi della violenza di genere e rappresentano attualmente un asse portante dei cortei animandone le primissime file. Il femminismo ha permeato tutti gli strati della società ma sicuramente con gradi di intensità diversi, essendo più sentito nelle grandi città del centro del paese come Buenos Aires, Rosario, Cordoba e Mendoza. Questa marea femminista, che si è conquistata lo spazio pubblico rendendosi visibile nelle piazze e nei mezzi di comunicazione di massa, ha generato quindi una grande trasformazione sociale anche considerando che prima del 2015 in poche si definivano femministe, termine a cui veniva attribuita un’accezione negativa.
Il Ni Una Menos ha generato una maggiore sicurezza in termini di protezione sociale collettiva che si traduce in una maggiore capacità di riconoscere, discutere pubblicamente e denunciare le violenze che le donne subivano. Questo è dimostrabile dall’impennata degli accessi al 144, il numero verde dove si possono rivolgere le vittime di violenza. Solo nel 2015 si è passati da 1.000 contatti telefonici giornalieri a 13.700 e quelli di Buenos Aires hanno avuto un incremento del 300%[6]. Inoltre dal 2013 al 2017 si sono quadruplicate le denuncie presso le istituzioni pubbliche per violenza fisica o psicologica[7]. Il Ni Una Menos ha stimolato l’adozione di leggi e politiche importanti di riforma della legislazione in materia, come la Legge 27.210 che ha istituito il gratuito patrocinio per le vittime di violenza di genere, la Legge Brisa che ha previsto un risarcimento economico agli orfani di femminicidio e la Legge Micaela che ha introdotto una formazione obbligatoria per i funzionari pubblici sulla violenza di genere. Nonostante sia positiva l’approvazione di queste leggi – come anche espressione di un interesse istituzionale ad affrontare le questioni – queste tuttavia non sono sempre implementate e finanziate, continuando ad essere la risposta statale deficiente rispetto alla portata del fenomeno[8]. Come purtroppo succede anche in altri contesti, se esiste una maggiore consapevolezza, questa non si traduce in una conseguente riduzione della violenza e dei femminicidi che tuttora presentano tassi allarmanti[9].

1.2 Le radici del movimento: il sostrato sociale in ebollizione e il ruolo delle insicurezze
Grazie alla possibilità di penetrare i mezzi di comunicazione di massa, soprattutto su Twitter, Instagram e sui canali di informazione influenti come quotidiani e televisioni, le riflessioni sulla violenza di genere si sono diffuse in maniera capillare nei vari strati della società argentina così da mobilitare in maniera massiccia le donne. Le discussioni intervenute nei social media e in altri mezzi di comunicazione hanno avuto la capacità di sfruttare un sostrato sociale, che però era pronto e già in ebollizione, e di canalizzarlo verso grandi manifestazioni. Il Ni Una Menos, come ho precedentemente accennato, è stato avvertito come una esplosione quasi inaspettata,ma in realtà rappresenta l’espressione di processi di maturazione politica e di coscienza collettiva, di resistenze alle insicurezze generate dai governi e di cui molto spesso si sono rese protagoniste le donne.
In primo luogo esiste in Argentina una lunga tradizione del movimento delle donne che è sempre stato, e soprattutto a partire dagli anni ‘70, molto attivo e organizzato con fasi alterne di maggiore e minore visibilità negli spazi pubblici ma sempre presente. Questo è dimostrato dalla continuità e partecipazione agli Incontri Nazionali di Donne che vengono tenuti ogni anno dal 1986 (nell’ottobre 2019 si è tenuto il 34esimo) e che vedono generalmente un’adesione massiccia[10]. Attraverso la cadenza degl’incontri nazionali il femminismo argentino è maturato in termini di elaborazione di pensiero e si è arricchito progressivamente di nuovi gruppi. Gli anni 2000 hanno rappresentato un momento di particolare fermento che ha visto, accanto alle ONG che promuovevano un femminismo più liberale, i gruppi di sinistra indipendenti. Queste femministe di sinistra hanno continuato a militare nei partiti, sindacati e associazioni e hanno lavorato nei decenni successivi sul territorio, nelle scuole e in contesti di educazione popolare permettendo la diffusione del femminismo in maniera reticolare, capillare e profonda anche nei periodi in cui non era molto visibile nelle piazze.
Il movimento femminista argentino trova anche la sua genealogia nella lunga storia di lotta e resistenza delle donne. Le donne argentine sono state coloro che più nei momenti di crisi hanno avuto la forza di ribellarsi alle ingiustizie e manifestare pubblicamente negli anni della dittatura e in risposta alle manovre neoliberali e di repressione dei vari presidenti che si sono succeduti.
Le donne ebbero un ruolo centrale durante il periodo della dittatura militare (1976-1983) con le Madres de Plaza de Mayo, che nella ricerca disperata dei figli e figlie desaparecidos, furono le prime ad avere il coraggio di scendere in piazza e chiedere giustizia. Queste tuttora rappresentano un importante riferimento politico e simbolico per il movimento femminista (l’utilizzo dei pañuelos è un esplicito riferimento a questo strumento di resistenza per la prima volta utilizzato da loro). Le donne hanno inoltre rappresentato una colonna portante dei piqueteros (movimento dei disoccupati che organizzavano blocchi stradali negli anni ’90) e hanno scatenato le rivolte più incisive nei periodi di crisi economica e per protestare contro le privatizzazioni, l’inflazione e la disoccupazione[11].
Sono sempre state le donne a ribellarsi alla svolta repressiva e neoliberale del presidente Macri; il movimento Ni Una Menos ha infatti organizzato il primo sciopero contro di lui e ha messo al centro delle proteste, oltre alla persistenza dei femminicidi, le conseguenze sulle classi più povere e sulle donne del debito contratto in maniera fraudolenta col Fondo Monetario Internazionale e delle relative politiche di aggiustamento economico. Il primo sciopero contro Macri del 19 ottobre 2016 è stato non a caso organizzato poco dopo l’Incontro Nazionale delle Donne di Rosario il cui corteo fu brutalmente represso dalla polizia e che vide durante il suo svolgimento una particolare concentrazione di femminicidi in varie parti del paese[12]. Donne e in particolare lesbiche, trans, travesti, indigene, afrodiscendenti, migranti si vedevano sempre più stringere nella spirale di violenze perpetrate sui loro corpi, la violenza domestica era acuita dalle ristrettezze economiche familiari, si respirava un clima politico che incitava all’odio attraverso i messaggi misogini, classisti e razzisti propagati dai rappresentanti del governo Macri. Le conseguenze delle politiche neoliberaliste inasprivano la condizione di esclusione delle categorie di donne già marginalizzate: disoccupazione, licenziamenti in massa, precarietà e flessibilità del lavoro, oltre alle diseguaglianze salariali e il continuo aumento dell’inflazione si traducevano in doppie e triple giornate di lavoro per le donne anche a causa del carico del lavoro domestico non retribuito; le donne sono state coloro che più hanno cercato di attivare reti di mutuo aiuto per sopperire alle ristrettezze economiche attraverso l’istituzione di mense popolari nei quartieri più poveri della città. La morsa sociale si stringeva maggiormente attraverso l’impiego di politiche repressive contro le classi più marginalizzate e impoverite e l’espressione del dissenso: oltre alle cariche della polizia ai cortei e ai picchetti, venivano prese di mira le attiviste che organizzavano le mense popolari[13] e coloro che difendevano i movimenti contadini e indigeni (come dimostrato per esempio dall’incarcerazione di Milagro Sala[14]), la polizia si vedeva ampliare i casi in cui era autorizzata a usare le armi e si è resa responsabile di sparatorie nei quartieri più poveri[15] e fra le popolazioni indigene oltre a sottoporre migranti e prostitute a maggiori violenze ed estorsioni. Il collegamento fra violenza femminicida, statale e l’aumento della povertà era ormai chiaro e prese forma nel movimento femminista nelle varie manifestazioni contro i femminicidi culminando nello sciopero femminista. Quest’ultimo rappresentava chiaramente una reazione al sistema di discriminazione ed esclusione imposto da cui nasceva la volontà di sottrarsi al sistema produttivo e riproduttivo simbolizzato dallo slogan al centro dello sciopero: “Se le nostre vite non valgono, allora producete senza di noi”.[16]
Il Ni Una Menos si è sviluppato quindi durante un momento di forte malcontento sociale e reazione alle insicurezze generato dalle politiche neoliberali e repressive del governo Macri e ha agito su un sostrato sociale pronto per questo dal punto di vista di ricchezza dei movimenti sociali e della mobilitazione femminile. Se un’esplosione del movimento femminista c’è stata, questa ha dato corpo a tutte le forze già attive nei territori e ha dato sfogo a soggettività escluse a lungo contenute in una pentola a pressione. Nella congiuntura storica contemporanea il movimento Ni Una Menos, nato come reazione ai femminicidi e all’inerzia del governo nell’affrontare la violenza di genere, ha maturato una connotazione politica più forte, convogliando vasti settori dell’antimacrismo e acquisito maggiore slancio come risposta alle acuite diseguaglianze sociali e alla demonizzazione e repressione delle classi povere e emarginate.

2. Le caratteristiche del movimento: le dinamiche interne di inclusione ed esclusione
L’analisi effettuata fin qui si sofferma sulla genesi e impatto del movimento Ni Una Menos, questo ci serve per capire il grado di radicamento delle coscienza femminista nella società, le ricadute e gli effetti generati. Allo stesso tempo credo sia anche importante analizzare come le istanze di trasformazione sociale – e in particolar modo di inclusione dei soggetti marginalizzati – siano davvero introiettate nella natura, rappresentazione e pratiche del movimento. Analizzare come certe dinamiche vengono messe in atto al suo interno potrebbe essere utile per misurare la capacità del movimento di attuare il cambiamento che auspica nella società e nelle istituzioni e quindi capire il potenziale trasformativo non solo in termini di sensibilizzazione sulla violenza di genere ma anche di promozione dei diritti e del protagonismo politico delle soggettività escluse. Mi soffermerò sul ruolo critico – a volte produttivo, a volte distruttivo – dei partiti politici e in particolare sui loro tentativi di strumentalizzazione del movimento, di invibilizzazione delle minoranze e la loro mancata interiorizzazione del pensiero e delle pratiche femministe nella propria agenda politica; tratterò anche della presenza preponderante, della partecipazione attiva e del livello di inclusione delle soggettività marginalizzate e sulla capacità del movimento di lasciare spazio nella sua struttura organizzativa e nei suoi canali di comunicazione alle minoranze e alle periferie.

2.1 Il ruolo dei partiti
I partiti politici (di sinistra e vicini all’ala kirchnerista[17]) fin dall’inizio sono stati molto attivi all’interno del movimento e delle assemblee di Ni Una Menos. Questi sono presenti tramite associazioni femministe associate ai partiti che operano nei quartieri delle città incluso quelli più poveri con programmi di educazione di genere, servizi di assistenza alle vittime di violenza e di altro tipo. Queste associazioni, partendo dalle suggestioni che provengono dai territori dove lavorano, riescono a produrre dal basso disegni di legge da presentare al Parlamento (solo per fare un esempio più recente quello sui femminicidi chiamato Emergencia Ni Una Menos elaborato da Malajunta che appartiene al partito Patria Grande). Questo coinvolgimento dei partiti, che porta con sè indiscutibili vantaggi in termini di mobilitazione sociale, ha anche i suoi risvolti negativi. Benché alcune anime all’interno di Una Menos rivendicano l’indipendenza del movimento, non si può certo dire che la si abbia ottenuta; infatti, le componenti e rappresentanti di partito rappresentano una buona fetta in termini di adesione e di partecipazione alle assemblee e ai cortei (con un vasto e visibile dispiegamento di bandiere e striscioni). Questo ha generato una strumentalizzazione delle manifestazioni del 3 giugno a scopi elettorali con tentativi di mettere in risalto il ruolo dei partiti e delle istituzioni (provocando l’invisibilizzazione di altri soggetti quali i genitori delle donne vittime di femminicidio e delle donne indigene)[18]oltre a trasformare talvolta le assemblee in terreni di campagna elettorale. Il coinvolgimento delle rappresentanti di partito nel movimento non significa inoltre che queste siano riuscite a contaminare con contenuti e pratiche femministe le agende e meccanismi interni dei loro partiti, nè tanto più a mettere in discussione le dinamiche patriarcali all’interno degli stessi. La presenza dei partiti inoltre impedisce di assumere delle posizioni critiche rispetto ad alcune forze ed esponenti politici soprattutto nel periodo pre-elettorale e specialmente in Buenos Aires; ad esempio nelle assemblee di preparazione al corteo contro i femminicidi del 3 giugno 2019 di Buenos Aires, i commenti negativi su Cristina Kirchner[19]– riguardo la concessione del monopolio del mercato dei semi alla Monsanto e il conseguente ingresso in maniera massiccia dei pesticidi nel paese oltre al fatto di non aver mai appoggiato l’adozione di una legge sull’aborto – sono state spesso accolte con fischi da una parte del pubblico. Similmente, ha generato disaccordo la proposta di inserire nel documento finale e nello striscione di apertura del corteo una denuncia esplicita verso i governatori provinciali – molti dei quali kirchneristi – che si erano resi fautori di politiche discriminatorie nelle loro provincie (soprattutto in relazione all’aborto e ai tagli dei servizi pubblici)[20]. In questo caso specifico la voce di quella parte del movimento che rivendica l’indipendenza dai partiti politici è riuscita infine a prevalere e quindi a includere una critica diretta contro i governatori provinciali nel documento di lancio del corteo del 3 giugno[21] e nel suo striscione di apertura[22]. Tuttavia, queste dinamiche e ingerenze dei partiti nel Ni Una Menos e un atteggiamento acritico nei confronti della coalizione kirchnerista rischia di indebolire il movimento quando guiderà il governo a partire dal 2020[23]. Un ridimensionamento dei partiti verso la causa femminista è già stato visibile nel minore investimento e partecipazione nelle assemblee e numericamente per l’ultima manifestazione del 3 giugno a Buenos Aires, dal momento che erano impegnati nella campagna elettorale delle primarie dell’agosto 2019. Le elezioni presidenziali del 27 ottobre 2019, rappresentano quindi il banco di prova della capacità di mobilitazione e radicamento del femminismo. Dopo le elezioni potremmo capire se i partiti continueranno ad animare il movimento, se il loro interesse verso le istanze femministe non era solo motivato dalla necessità di creare un blocco politico contro Macri e se si tradurrà nella promozione di politiche quando, una volta entrati nei gangli di potere, non avranno più bisogno di utilizzare la bandiera femminista per ottenere consenso.

2.2 Inclusione/esclusione
Come ho accennato precedentemente, il movimento Ni Una Menos racchiude numerosi gruppi, sindacati, collettivi, associazioni che rappresentano le istanze delle più diverse soggettività. Il Ni Una Menos è riuscito a riunire vasti settori femministi della società, includendo non solo tradizionalmente i partiti e il movimento trans e travesti, ma anche quelli antirazzisti, quelli dell’economia popolare e le sex workers, che prima operavano in isolamento ma che ad un certo punto hanno cominciato a coordinarsi attraverso assemblee congiunte e manifestazioni pubbliche di espressione di istanze comuni di giustizia sociale[24].
Il movimento Ni Una Menos nel suo complesso e nella sua rappresentazione esterna appare eterogeneo e inclusivo di tutte le diversità. Ad esempio i primi striscioni e il documento di convocazione del corteo del corteo del 3 giugno 2019 di Buenos Aires davano risalto alle identità più marginalizzate e in particolare: le indigene, le afrodiscendenti, le migranti, le trans/travesti. Le prime fila del corteo erano riservate a coloro che si definivano “nere, indigene, razzializzate (racializadas) e dissidenza sessuale” insieme anche alle trans. Il documento finale generato dall’assemblea di Buenos Aires, oltre a focalizzarsi sul diritto all’aborto, sulla violenza di genere, economica, istituzionale e sulla giustizia patriarcale lascia ampio spazio alle rivendicazioni delle afrodiscendenti, delle migranti, delle indigene, delle trans e travesti, delle grasse e delle intersex[25]. Di fatto la presenza di queste molteplici identità spicca in maniera preponderante nell’elaborazione politica del movimento e nella sua natura così come rappresentata verso l’esterno. Nelle assemblee di Buenos Aires le iniziali proposte di produrre un documento di lancio della manifestazione sintetico e incisivo ha dovuto fare i conti con l’ampia eterogeneità del movimento, l’esigenza di dare risalto a ciascuna componente e la conseguente importanza di nominare tutte le differenze; appariva chiaramente la necessità di non appiattire il movimento in una breve sintesi di rivendicazioni, questa non avrebbe potuto far emergere le sfumature e posizionamenti di ciascuna categoria di identità che voleva pronunciarsi sulle tematiche che le riguardavano senza essere sovrascritte o riassunte in altre istanze. Il risultato è stato un documento di cinque pagine dove ogni realtà è riuscita ad avere uno spazio.
La diversità, inclusività e eterogeneità del movimento e la sua proiezione esterna non sono però scontate; queste emergono come forza dirompente contro tutte le marginalizzazioni e allo stesso modo sfondano le barriere di esclusione interne al movimento; è il risultato di una contrattazione continua non sempre facile da parte di gruppi che possono definirsi ‘minoritari’ numericamente ma che hanno il coraggio di mettere continuamente in evidenza le contraddizioni del movimento femminista e le insidie del patriarcato agite attraverso le dinamiche decisionali e le reti di relazioni. Queste componenti, pur riconoscendo e criticando alcune tendenze egemoniche fra le compagne di altri collettivi/associazioni, non si dissociano, non si stancano di fare parte del movimento, generano la sua forza e arrivano addirittura a diventarne il simbolo. Le indigene, le afrodiscendenti, le migranti, le trans/travesti rivendicano un maggiore ruolo nella società e nel movimento femminista contro ogni tentativo di invisibilizzazione delle loro lotte. Queste fanno sentire la loro voce all’interno delle assemblee per spronare una maggiore partecipazione e coinvolgimento da parte del movimento tutto quando sono loro stesse ad organizzare manifestazioni contro il razzismo o contro il femminicidio trans e travesti; esigono maggiore solidarietà da parte delle compagne quando si manifestano alcuni atteggiamenti discriminatori e razzisti, a volte violenti e escludenti contro di loro, messi in atto durante iniziative pubbliche da parte delle radicali[26] (così definite alcune frange ‘femministe’ abolizioniste o di ispirazione trotzisca). Le indigene in particolare richiedono che venga conferita una maggiore visibilità da parte del movimento femminista al genocidio delle popolazioni indigene e – come atto simbolico per aprire uno spazio all’interno del movimento alle soggettività non bianche – hanno spinto per cambiare il nome dell’annuale Incontro Nazionale delle Donne (che si è tenuto a La Plata lo scorso 11-13 ottobre) in Incontro Plurinazionale delle Donne; il cambio di nome avrebbe il fine di risultare più inclusivo di tutte le nazionalità presenti in Argentina (e dunque non solo delle popolazioni discendenti di immigrati europei e dei colonizzatori ma anche delle popolazioni native, afro-discendenti e migranti). Le partecipanti della Commissione Organizzatrice dell’incontro ha legami forti con i partiti e spesso soccombono ai loro dettami; l’incontro nazionale delle donne rappresenta un momento politico importante e si ha il timore che conferire un maggiore peso alle istanze indigene e ad altri gruppi marginalizzati possa avere un impatto sugli equilibri nazionali e sulle agende politiche soprattutto per quei partiti che aspirano a far parte della coalizione di governo e in particolare nel frangente pre-elettorale in cui è avvenuto l’incontro[27]. Si è generato quindi un paradosso: la Commissione Organizzativa ha continuato a chiamare l’incontro “nazionale” e ha utilizzato questo nome nei canali di comunicazione ufficiali; tutto il resto del movimento ha promosso, nominato e convocato questo evento come “plurinazionale” e questa chiamata ha raggiunto un seguito mediatico maggiore rispetto ai canali ufficiali, segno anche della forza dirompente dei gruppi marginalizzati a cui accennavo prima.
La pluralità e eterogeneità del movimento si riflette anche in merito all’impossibilità di poter prendere posizioni comuni riguardo ad alcune questioni critiche che lo dividono. Come anche in Italia, uno dei maggiori motivi di tensione all’interno di Ni Una Menos è il dibattito abolizionismo vs sex work. Qui ci troviamo di fronte a realtà di lotta organizzate che trovano una difficile convivenza e scontri di interesse che si manifestano in ambito assembleare: da una parte ci sono il fronte antiabolizionista – che spesso assume toni violenti – e le madri, amiche, sorelle di quelle giovani che dopo essersi recate ad un colloquio di lavoro o ad una serata con gli amici spariscono nel nulla, sequestrate e obbligate a prostituirsi in un paese in cui la tratta, soprattutto delle bianche, assume delle dimensioni notevoli anche a causa della connivenza della polizia; dall’altra parte ci sono le sex workers che rivendicano l’autonomia sul proprio corpo, vogliono utilizzarlo come strumento di lavoro senza cadere nelle reti di sfruttamento e hanno creato le proprie cooperative per sfuggire dal controllo dei papponi e per autogestirsi. Almeno in Buenos Aires si è giunti ad un accordo, anche se non sempre privo di frizioni, che la lotta alla tratta e l’autodeterminazione delle sex workers non sono necessariamente due posizioni inconciliabili – soprattutto se unite da una decisa denuncia contro le reti criminali di sfruttamento – e che non è obbligatorio raggiungere una posizione comune su tutto, praticamente un accordo sul disaccordo.
Abbiamo visto quindi che il movimento riesce a includere soggettività marginalizzate e contemplare posizioni politiche divergenti. Una constituency così ampia tuttavia ha la necessità di delimitare i suoi margini esterni producendo inevitabilmente esclusione e sovrarappresentazione di alcune categorie. Gli uomini cis non sono invitati a partecipare nè alle assemblee (dalle quali vengono cacciati) nè allo sciopero femminista (mentre sì al corteo del 3 giugno). Questo approccio serve per creare spazi safe per le donne dove poter partecipare e esprimersi liberamente fuori da dinamiche patriarcali e di potere tipicamente maschili (immaginiamoci se gli uomini dei partiti partecipassero alle assemblee!); questo comporta tuttavia una esclusione di fatto degli uomini trans costretti a giustificare tutte le volte la loro presenza quando desiderano partecipare alle assemblee con un conseguente rischio di invibilizzazione delle loro istanze.

2.3 Organizzazione del movimento
Venendo dalla realtà italiana dove ci sono dei nodi territoriali che si coordinano fra di loro e dove vengono prese decisioni tramite assemblee nazionali, mi aspettavo una situazione similare trovando invece che il movimento Ni Una Menos è fluido e poco strutturato a livello organizzativo.
Non ci sono assemblee Ni Una Menos in ciascuna città o provincia, a differenza invece della campagna per l’aborto (Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito) che è capillare e disseminata in numerosissime città argentine. Le assemblee Ni Una Menos si sono istituite soprattutto nei centri più grandi come Buenos Aires, Rosario e Cordoba, non tutte operano attraverso assemblee regolari e alcune vengono convocate solo quando si tratta di preparare le manifestazioni più importanti a livello nazionale. Ogni assemblea, mantenendo gli appuntamenti nazionali comuni (8 marzo, 3 giugno, 25 novembre), lavora autonomamente e indipendentemente dalle altre producendo i propri comunicati e documenti politici e organizzando le iniziative locali di lotta.
Non esiste quindi un coordinamento a livello nazionale fra tutte le assemblee Ni Una Menos. Chiaramente al loro interno le varie componenti (singoli partiti, sindacati, associazioni presenti a livello nazionale così come il collettivo Ni Una Menos) si raccordano e riportano le loro posizioni nelle assemblee locali di Ni Una Menos, tuttavia non esistono assemblee nazionali dell’intero movimento dove si concordano strategie e si definiscono posizionamenti politici comuni. A unire tutte le realtà femministe è invece l’Incontro Nazionale delle Donne – ora ribattezzato delle più “plurinazionale” -, importante luogo di scambio dove confluiscono anche quelle realtà che non sono necessariamente attive all’interno del Ni Una Menos. Questo incontro annuale, anche se rappresenta un significativo momento di confronto fra le varie realtà femministe di tutta Argentina, non ne rappresenta un vero coordinamento ma piuttosto un luogo di condivisione, auto-formazione, di lancio di proposte e tessitura di alleanze e relazioni.
Quindi possiamo dedurre che Ni una Menos in Argentina costituisce una realtà poco strutturata e in divenire, che non si dà una struttura organizzativa ma che utilizza come stumenti privilegiati quelli auto-organizzati e corali ad esempio le manifestazioni pubbliche nelle piazze e nelle strade e tutte le altre iniziative organizzate dal basso. Il Ni Una Menos può essere definito un movimento spontaneo le cui componenti non interagiscono in maniera concertata e che trovano espressione nei contesti pubblici di presa di parola e manifestazioni di piazza. Si pensi ad esempio alle associazioni di quartiere e di base, alcuni sindacati e le tante realtà che si mobilitano autonomamente dalle assemblee di Ni Una Menos.
Tuttavia, il rischio della mancanza di un coordinamento è che l’agenda nazionale venga definita da Buenos Aires in base alle esigenze qui emerse invisibilizzando quello che accade nelle periferie. Le tensioni centro – periferia emergono rispetto all’egemonia di Buenos Aires verso gli altri territori: c’è un pò la sensazione da parte delle assemblee fuori dalla capitale che le femministe di Buenos Aires si ergano a rappresentanti del movimento nazionale. Non esistendo dei canali di comunicazione ufficiali nazionali del movimento, di fatto i comunicati, documenti e istanze prodotte dall’assemblea Ni Una Menos di Buenos Aires o del Collettivo Ni Una Menos vengono generalmente presentati dalla stampa nazionale e internazionale come espressione dell’intero movimento anche se non sono concordati con le assemblee di altri territori, che a loro volta ne producono i propri[28].

Conclusioni
Prendendo come asse di analisi il tema della sicurezza/insicurezza possiamo concludere che, da un lato il Ni Una Menos nasce come risposta alla compressione sociale e alle insicurezze generate dalle politiche repressive e neoliberali del governo Macri; dall’altro si può evincere che il movimento ha agito un ruolo determinante nel produrre reti di protezione e sicurezza per le donne in termini di un forte radicamento, capillarità e impatto nella società, di una maggiore coscienza collettiva sulla violenza di genere e di un’accresciuta attenzione delle istituzioni. Le reti femministe hanno sperimentato nuove modalità di relazionarsi, di fare commercio, di creare mondi possibili di solidarietà e mutuo aiuto, hanno incoraggiato le donne a prendere forza, uscire dall’isolamento e denunciare pubblicamente le violenze che stavano vivendo nelle loro vite quotidiane. Il femminismo è riuscito ad attraversare e influenzare alcuni luoghi di potere come i media e i partiti, e per questo il dibattito è entrato nelle istituzioni fino a dentro le camere da letto.
Tuttavia, questi processi non hanno coinvolto tutti i settori della società e in particolare le periferie del paese dove certe riflessioni, prese di parola e iniziative non sono ancora diffuse. Il cambiamento della società è avvenuto quindi a diverse velocità, riguardando in misura inferiore anche le istanze delle minoranze che caratterizzano il movimento ma che di fatto non riescono ancora a sfondare il tetto di cristallo dovuto alla mancata rappresentatività nei luoghi di potere e di influenza. Se si è riusciti a smuovere le coscienze delle istituzioni, dei partiti e di altri organismi sulle tematiche di genere, e sulla violenza sulle donne in particolare, un’uguale attenzione non è stata rivolta alle popolazioni indigene[29], alle migranti[30], alle afrodiscendenti[31], alle trans[32], alle prostitute e sex workers[33], la cui situazione non è migliorata o è andata progressivamente peggiorando. Il potere di trasformazione del movimento potrà quindi essere misurato nella capacità intersecare le lotte – non solo di genere, ma anche di classe, provenienza e antirazziste– e di riuscire a dare spazio alle identità marginalizzate, portare le loro istanze nei luoghi dove vengono prese le decisioni, determinare un cambiamento in positivo delle loro vite e contribuire ad abbattere – oltre al sessismo – anche il razzismo e classismo interiorizzato in alcuni strati della società e delle istituzioni.
Inoltre, ho avuto l’impressione che anche se il movimento ha fornito la possibilità a molte donne di aprirsi, parlare e denunciare le violenze che stavano vivendo, questo non abbia contaminato sufficientemente l’altra metà del mondo, gli uomini. Il movimento essendo separatista si è rivolto principalmente alle donne, ha creato reti e generato le riflessioni più profonde dentro il mondo femminile, ha aumentato il livello del conflitto con gli uomini senza veramente cercarne al suo interno gli alleati. Un esempio è quello dei partiti dove militano tante femministe senza essere riuscite a contaminarne le agende e scalfirne le dinamiche di potere interne, a volte conformandosi, a volte facendosi sopraffare dall’impotenza. Il potere e l’orizzontalità rappresentano una grande sfida del movimento, un tema ancora non sufficientemente affrontato al suo interno forse perchè è fortemente influenzato dai partiti, che da una parte si fanno promotori delle politiche di genere dall’altra ricacciano qualsiasi tendenza verso l’accoglimento delle istanze dei gruppi più marginalizzati. La capacità rivoluzionaria del movimento verso una società più femminista, inclusive e sicura per tutt* si potrà quindi veramente stimare in termini di ribaltamento delle dinamiche interne di influenza, di accesso ai canali politici e di informazione, di tensioni centro-periferia, di apertura alle classi marginalizzate ma anche di dialogo verso il mondo maschile col quale diventare in grado di contrattare una condivisione e trasformazione del potere da loro sempre e ancora detenuto…. ed infine di contaminazione della società di contenuti transfemministi che siano anche e davvero antisessisti, anticapitalisti, anticlassisti e antirazzisti.

[1] Della coalizione politica di destra neo-liberista Cambiemos e presidente in carica dal 2015 al 2019.
[2] https://www.perfil.com/noticias/sociedad/como-surgio-movimiento-ni-una-menos-2015.phtml
[3] Figlie e nipoti di indigeni e contadini.
[4] Si crearono numerosi gruppi con approcci diversi sull’accompagnamento all’aborto prendendo spunto dall’esperienza delle Socorristas en Red già attive dal 2010.
[5] Un caso importante è la città di Cordoba, dove esistono numerose esperienze di auto-organizzazione femministe per costruire modi di fare mercato più sostenibili e per aiutarsi reciprocamente nella promozione dei propri prodotti e professioni. Un esempio è il gruppo Feministas Trabajando che mette in rete e promuove le autoproduzioni di donne, trans e non binar*. Lo stesso gruppo organizza la Feria Feministas Trabajando, giunta alla 20esima edizione, un mercato mensile per sostenere l’autoproduzione (artigianato, cibo e altro) dove oltre a vendere si può barattare i propri prodotti; questo rappresenta un luogo di incontro dove passare il pomeriggio e dove si svolgono laboratori, concerti e performance femministe. Altra esperienza è Motores en los Pies, una cooperativa transfemminista di trasporto in bici nata per facilitare la vendita di prodotti di autoproduzioni e attività commerciali di femministe e per sottrarsi allo sfruttamento delle imprese come Glovo ecc. Queste sono solo due esempi insieme ad una lunga lista di realtà di promozione di attività commerciali: il mercato gastronomico femminista, il baratto femminista, reti femministe per cercare stanze in affitto, gruppi di tatuatrici, muratrici, imbianchine e di artiste di vario tipo (circensi, attrici, ballerine di tango ecc).
[6] http://latfem.org/a-cuatro-anos-de-ni-una-menos-avances-y-retrocesos-a-nivel-nacional-caba-cordoba-y-rosario/ Il maggior numero di contatti è avvenuto durante la giornata del corteo contro I femminicidi del 3 giugno 2015 e nei giorni immediatamente successivi. Nel solo mese di giugno 2015 si sono registrate 4.600 chiamate per casi di violenza di genere rispetto a 3.034 chiamate del mese precedente. https://www.argentina.gob.ar/sites/default/files/consejo_nacional_de_mujeres_plan_nacional_de_accion_contra_violencia_genero_2017_2019.pdf
[7] https://elpais.com/internacional/2018/03/08/argentina/1520524596_177942.html
[8] Per un’analisi dettagliata si veda: http://latfem.org/a-cuatro-anos-de-ni-una-menos-avances-y-retrocesos-a-nivel-nacional-caba-cordoba-y-rosario/
[9] Secondo i dati dell’Osservatorio sui Femmicidi “Adriana Marisel Zambrano” dal 2008 al 2015 sono state assassinate 2094 donne in relazione a casi di violenza sessista. https://www.argentina.gob.ar/sites/default/files/consejo_nacional_de_mujeres_plan_nacional_de_accion_contra_violencia_genero_2017_2019.pdf. Si registra un femminicidio ogni 34 ore. http://libresdelsur.org.ar/noticias/un-femicidio-cada-34-horas-relevamiento-del-observatorio-mumala/
[10] Ad esempio all’incontro del 2018 hanno partecipato 65.000 donne (http://encuentrodemujeres.com.ar/historia-del-encuentro/) e ben 200.000 nel 2019 (https://www.tucumanalas7.com.ar/nacional/2019/10/12/con-mas-de-200-mil-asistentes-hoy-inicia-el-encuentro-nacional-de-mujeres-187215.html?fbclid=IwAR2-CtG1FYX2L0Hl6VUz8mpmHxw1pW5CotDd-jB6Mcy-tP0Nfz2mtFGFpyI)
[11] Magui Bellotti (2018) Memorias, genealogies, historias del movimiento feminist y de mujeres Movidas por el deseo: genealogias, recorridos y luchas en torno al 8M, a cura di Alfonso, Lozano e Castelli, Buenos Aires: El Colectivo.
[12] https://latfem.org/2-anos-del-primer-paro-macri-paro-nacional-mujeres/
[13] Eclatante fu il caso della docente Corina de Bonis che organizzò mense popolari per strada (ollas populares) per permettere ai bambini di poter mangiare in seguito alla chiusura della loro scuola. Corina fu sequestrata e torturata dalla polizia che le incisero sul corpo con un punteruolo “no más ollas”. Vedi Cavallero e Gago, Una lectura feminista de la deuda, Buenos Aires: Fundación Rosa Luxemburgo, 2019.
[14] Milagro Sala è un’attivista indigena del nord dell’Argentina dell’organizzazione Tupac Amaru, un gruppo di contadini e poveri senza terra per i quali riuscì a trovare fondi pubblici per costruire complessi residenziali dotati di servizi, è attualmente incarcerata con accuse di corruzione relative a questi fatti. https://www.agoravox.it/Chi-e-Milagro-Sala-la-donna-che-ha.html
[15] 1303 persone sono state uccise dalla polizia negli ultimi tre anni, erano principalmente minorenni delle periferie e delle favelas argentine. https://correpi.lahaine.org/; https://drive.google.com/drive/folders/1lWq1b2s8jocRvsre9TjNcOfUhIJKMcfZ vedi anche Basta grilletti facili di Stato. Esplode la rabbia in Argentina, Serena Chiodo, 28.05.2019.
[16] https://latfem.org/2-anos-del-primer-paro-macri-paro-nacional-mujeres/
[17] Il kirchnerismo è una corrente politica di ispirazione peronista guidata dai precedenti presidenti Néstor Carlos Kirchner (dal 2003 al 2007) e da sua moglie Cristina Fernández de Kirchner (dal 2007 al 2015).
[18] Autrici varie, #NiUnaMenos. Vivxs nos queremos. Argentina: Milena Caserola, 2015.
[19] La ex presidente Cristina Kirchner nei suoi dodici anni di governo ha portato avanti riforme cruciali a favore delle classi sociali più svantaggiate come ad esempio introducendo la gratuità dell’assistenza sanitaria e dell’educazione fino all’università e ha promosso alcune leggi importanti per il movimento femminista come la Legge sul matrimonio ugualitario e la Legge sull’identità di genere. Tuttavia, ha sempre avuto una posizione ambivalente riguardo all’aborto, mai veramente condannandolo o promovuendo la sua legalizzazione in quanto molto vicina ai gruppi cattolici e cristiani pro-vita e nel tentativo di non perdere il consenso di un elettorato diviso sulla questione.
[20] In particular modo alcuni governatori si sono resi responsabili di non aver fatto niente o impedito l’aborto di giovani ragazze e di aver applicato nelle loro province tagli a servizi importanti – incidendo soprattutto sulle classi più povere- in ossequio ai programmi di ristrutturazione economica imposte dal governo Macri.
[21] http://agenciapresentes.org/wp-content/uploads/2019/06/Pliego-Final-3J-2019.pdf
[22] Questo recitava “Non una di Meno per le violenze sessiste, economiche, razziste, classiste verso le identità vulnerabilizzate. Aborto legale subito. Abbasso l’aggiustamento di Macri, del FMI e i governatori”.
[23] Il 27 ottobre 2019 la coalizione kirchnerista ha vinto le elezioni sconfiggendo il presidente uscente Mauricio Macri; il nuovo governo sarà guidato dal nuovo residente Alberto Fernández, stretto collaboratore di Cristina Kirchner.
[24] https://latfem.org/2-anos-del-primer-paro-macri-paro-nacional-mujeres/
[25] http://agenciapresentes.org/wp-content/uploads/2019/06/Pliego-Final-3J-2019.pdf
[26] Ci sono stati in passato tentativi da parte di gruppi circoscritti di allontanare di afro-discendenti dallo striscione di apertura o episodi di blocchi per impedire che donne trans di salire sul palco per fare interventi.
[27] L’incontro nazionale/plurinazionale delle donne del 2019 è avvenuto appena due settimane prima delle elezioni presidenziali.
[28] Ci sono anche degli aspetti organizzativi –che ho pouto notare almeno per quanto riguarda l’assemblea di Buenos Aires per l’organizzazione del corteo del 3 giugno – che non facilitano la piena inclusione e partecipazione. Ad esempio le convocazioni delle assemblee generali sono pubblicizzate con pochissimi giorni di preavviso attraverso canali di diffusione che non sempre riescono a raggiungere tutte le realtà potenzialmente interessate. Inoltre nel caso di Buenos Aires, l’organizzazione delle assemblee in aree centrali della città non permetteva la partecipazione di coloro che vivono nelle aree periferiche e della provincia.
[29] L’industria estrattivista sta sempre più confiscando le terre delle popolazioni contadine e indigene; i mapuche vengono inoltre rappresentati dal governo come nemici dello stato e terroristi da reprimere e sconfiggere. https://argentina.indymedia.org/2019/10/24/que-hizo-el-macrismo-con-los-pueblos-originarios/
[30] Il tema del fenomeno migratorio ha subito un cambio di paradigma durante il governo Macri, da uno precedentemente fondato sui diritti umani ad uno che si incardina sulla protezione della sicurezza nazionale e sul controllo delle frontiere. La politica migratoria ha quindi assunto caratteri repressivi con un aumento vertigionoso delle espulsioni e deportazioni e maggiori restrizioni rispetto al permesso di soggiornare sul territorio argentino. https://elpais.com/elpais/2017/07/24/contrapuntos/1500861895_103072.html; https://www.infobae.com/politica/2018/10/28/el-plan-de-macri-para-endurecer-la-politica-contra-los-inmigrantes-ilegales-en-la-argentina/; https://www.marcha.org.ar/ni-una-migrante-menos-vivas-libres-y-sin-racismo-nos-queremos/
[31] Le popolazioni afro-discendenti non sono generalmente considerate parte della società e della storia argentina. https://www.cultura.gob.ar/por-que-el-8-de-noviembre-es-el-dia-nacional-de-los-afroargentinos-y-de-la-cultura-afro_5054/. Il governo Macri ha diffuso una visione profondamente classista e razzista della società https://www.eldesconcierto.cl/2019/02/24/racismo-y-clasismo-propaganda-macrista-asegura-que-los-blancos-y-ricos-sostienen-la-economia-de-los-pobres-y-negros/
[32] Le leggi approvate in materia di identità di genere hanno avuto un’applicazione insoddisfacente al fine di modificare positivamente la condizione di vita delle trans. https://sicura.home.blog/2019/06/30/la-lotta-delle-trans-e-travesti-in-argentina-militare-unite-tutti-i-giorni-nelle-istituzioni-e-nelle-strade/
[33] Le forze di polizia esercitano violenza e repressione contro le prostitute con episodi di violenza fisica, allontamenti forzati e estorsioni. https://www.ammar.org.ar/IMG/pdf/informe_violencia_institucional_ammar_argentina-2.pdf La prostituzione è tuttora criminalizzata in numerosissime provincie argentine http://www.ammar.org.ar/Un-paso-mas-para-la.html; il 91% degli autori di femminicidi contro prostitute/sex workers sono rimasti impuniti http://www.ammar.org.ar/Justicia-por-Maria-Corvalan.html